6 Novembre 2024

I dilemmi europei nel Sahel

Gli aeroporti di Bamako e di Niamey sono affollati di soldati nelle ultime settimane. La Missione di Stabilizzazione Integrata Multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) sta lasciando il paese, con migliaia di effettivi e centinaia di mezzi in movimento, non senza rischi e una logistica complessa. Si sono infatti verificati già sei incidenti da quando le forze di pace hanno lasciato la loro base nel nord di Kidali il 31 ottobre per compiere il viaggio stimato di 350 km verso Gao, per un totale di 39 feriti.

Un ultimo tributo di sangue della missione: con 310 morti in 10 anni è la seconda più letale della storia, seconda sola a Unifil in Libano (332 caduti). Il ritiro della missione era stato chiesto dalla giunta militare guidata dal colonnello Assimi Goïta, al potere dall’agosto 2020 dopo aver deposto con un golpe il presidente Ibrahim Boubacar Keïta.

La giunta miliare in Mali, dopo aver messo alla porta diversi diplomatici e contingenti militari europei, in primis francesi, ha quindi rinunciato anche a Minusma, benché non sembra in grado di sostituirle adeguatamente. La missione dell’Onu sta lasciando 12 basi nel centro e nel nord del paese, oltre a quella principale di Bamako. La poca collaborazione della giunta militare e il peggioramento delle condizioni di sicurezza hanno accelerato il ritiro e non stanno però permettendo un regolare passaggio di consegne alla autorità maliane.

In questo spazio vacante, i gruppi dell’Accordo Permanente Strategico nel nord del Mali – in predominanza Tuareg– ha dichiarato di avere occupato una base nella regione di Kidali subito dopo l’evacuazione del 31 ottobre scorso. Nel rapporto con i gruppi dell’Azawad rimane infatti un altro nodo critico. Il rapporto con la giunta militare si è progressivamente incrinato arrivando a scontri armati diretti e mettendo ulteriormente in crisi l’accordo di pace di Algeri del 2015 che aveva messo fine alla guerra con il nord separatista.

La gestione dello spazio e delle basi nel nord del Mali ha però radici più profonde. Dopo l’intervento a fianco del governo di Bamako dalla fine del 2012 con l’Operazione Serval, la Francia non ha mai di fatto passato il testimone alle Fama, l’esercito maliano, tenendo per sé spazi cruciali. Questo approccio, così come altri post-coloniali in ambito politico, sociale e culturale, hanno favorito un sentimento antifrancese e antioccidentale sui quali negli ultimi anni la propaganda russa ha avuto gioco facile a giocare un ruolo incendiario.

Cercasi partner affidabile

Dopo anni passati a rimarcare la priorità del Sahel e a cercare partner credibili, l’Ue e gli stati europei non sanno letteralmente cosa fare. Fino al colpo di stato in Mali del 2020, Bruxelles aveva individuato nel Bamako il partner centrale per la regione. Ma i due colpi di stato nel paese, e soprattutto l’arrivo dei mercenari del Gruppo Wagner, hanno creato un notevole imbarazzo diplomatico, in particolare per la missione di training militare EUTM: restare con il rischio di incrociare i russi o lasciare il paese? Dopo vari tentennamenti e con il Burkina Faso segnato dai due coup d’état nel 2022 e da una crisi istituzionale e di sicurezza fuori controllo, l’Ue ha volto lo sguardo verso il Niger, indicando il presidente nigerino Mohammed Bazoum come il nuovo partner affidabile. Ancora una volta, un colpo di stato sta stravolgendo i piani e Bazoum di trova in fermo dal 26 luglio scorso. Mentre i canali umanitari e di cooperazione allo sviluppo rimangono attivi con il Sahel, la postura politica e diplomatica sembra inseguire più vie d’uscita che strategie.

Riflessione strategica

Intanto Joseph Borrell nelle settimane scorse ha ammesso che i 600 milioni di euro investiti nell’ultimo decennio nelle missioni civili e militari nel Sahel non hanno portato i risultati sperati. Mentre l’Alto Rappresentante non nasconde che anche la missione militare in Niger ha le ore contate, prima di volgere lo sguardo al prossimo “partner fidato” (Mauritania?), servirà una riflessione più approfondita sul rapporto tra Europa e Sahel, a partire anche dagli errori commenti, come quello di dare priorità a un approccio securitario che ha messo in secondo piano quello integrato. Intanto, però, nonostante non venga detto ufficialmente, difficile togliersi l’idea che il Sahel stia diventando una regione sempre meno prioritaria.

Foto di copertina EPA/STR

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