Martedì 28 novembre l’Arabia saudita ha ottenuto l’ennesimo successo nella sua offensiva di diplomazia culturale, assicurandosi con un voto quasi plebiscitario l’organizzazione di Expo 2030. Significativamente, a sponsorizzare la candidatura di Riyadh è sceso in campo anche Cristiano Ronaldo, la superstar del pallone che da gennaio milita nel club saudita Al Nassr. Quello della diplomazia sportiva è d’altro canto uno degli ambiti in cui l’impiego di risorse da parte saudita è stato più evidente negli ultimi anni, in coincidenza con l’ascesa del principe ereditario Mohammed Bin Salman e del suo impegno per la trasformazione del paese, cristallizzato nel documento programmatico Vision2030 e sostenuto dagli investimenti del PIF, il fondo d’investimento pubblico saudita.
L’impegno profuso da Riad sul terreno sportivo viene spesso descritto in maniera riduttiva come sportswashing: vale a dire, un utilizzo strumentale di grandi eventi sportivi per distogliere l’attenzione delle opinioni pubbliche globali da violazioni dei diritti umani. L’accusa di sportswashing nei confronti dell’Arabia Saudita non è immotivata, ma la leadership saudita non sembra particolarmente turbata quando viene posta di fronte al problema. La realtà è in ogni caso decisamente più complessa e sfaccettata: lo sforzo di Riyadh è mirato a favorire la creazione di consenso interno e guadagnare spazio nella competizione con altre potenze regionali e sullo scenario globale.
Il consenso interno
La solidità del potere saudita è legata alle forme di welfare molto evolute e ramificate, nonché costose, che Riyad è in grado di elargire ai sudditi. Queste misure sono state garantite nei decenni dai proventi straordinari della produzione e commercio di petrolio. Con il progressivo impulso alla decarbonizzazione, come indicato in Vision2030, la diversificazione dell’economia è diventata una preoccupazione centrale per il governo di Riyad. Uno dei settori chiave individuati per rimpiazzare queste entrate è il turismo, già storicamente sviluppato grazie alla presenza delle città sacre di Mecca e Medina.
Il nuovo impulso viene ora dal turismo sportivo, trainato dai grandi eventi di cui l’Arabia è divenuta magnete negli ultimi anni: la capacità “di diventare un vero e proprio hub per una vasta gamma di sport” si è concretizzata nella possibilità di organizzare eventi legati al mondo del calcio, del ciclismo, della Formula Uno, delle arti marziali e molti altri. In termini economici i ritorni attesi sono imponenti: secondo stime internazionali il settore è destinato a crescere ad un ritmo dell’11% medio annuo fino al 2032, portando il contributo del turismo alla composizione del Pil saudita dal 6,5 al 17,1%. Le potenziali ricadute positive in termini di occupazione e crescita della ricchezza interna sono di per sé evidenti, ma non sono gli unici dividendi che Riyad ottiene: in termini di immagine, la popolazione sembra apprezzare lo sforzo fatto per portare nel campionato saudita di calcio alcuni dei più importanti nomi dello sport a livello globale, per fare un esempio.
La competizione regionale
A livello internazionale, Riyad può contare di riflesso su un accresciuto prestigio nei confronti delle altre potenze regionali. La competizione più evidente è con il Qatar, che oltre ad avere organizzato i Mondiali del 2022, da anni sponsorizza alcuni dei club europei più importanti e controlla la proprietà del Paris Saint Germain. Altri potenziali competitor, su tutti gli Emirati Arabi Uniti, hanno investito ampiamente nel mondo del ciclismo: oggi una delle squadre più forti a livello mondiale porta proprio il nome “UAE Emirates”, e l’omonimo tour attira alcuni dei principali talenti all’inizio della stagione ciclistica internazionale.
L’impegno saudita ha preso strade differenti, soprattutto nel calcio. Riyad ha iniziato solo recentemente a sponsorizzare club europei – con la scelta simbolica di acquistare lo spazio principale sulla maglia della AS Roma, squadra di una delle due avversarie di Riyad per l’assegnazione di Expo2030 – e nel 2021 ha acquisito, tramite il PIF, il controllo dello storico club di Premier League Newcastle FC. La squadra, dopo alcuni anni traballanti, ha ritrovato centralità in campionato, ottenendo una storica qualificazione alla Champions League.
Anche la gestione interna presenta differenze sostanziali rispetto al PSG: se il club parigino, sotto la gestione qatarina, si è reso famoso per gli investimenti spropositati per portare i nomi più blasonati sotto la torre Eiffel, il Newcastle ha agito in maniera diversa, investendo cifre indubbiamente importanti ma orientandosi soprattutto su acquisti di prospettiva e costruendo parallelamente un sistema di welfare interno del club per i dipendenti, segnando una differenza netta anche con le precedenti proprietà britanniche. I due club si sono incontrati subito in Champions League, e il Newcastle ha ottenuto un rotondo successo nel confronto domestica e riuscendo quasi nell’impresa di vincere anche a Parigi, in una sfida che si è giocata tanto sul piano tecnico quanto su quello simbolico.
La proiezione globale e le priorità saudite
Secondo il gruppo di ricerca danese “Play the game”, la leadership saudita è riuscita ad imporsi così rapidamente anche grazie ad una rete capillare capace di occupare posizioni di potere in alcuni dei contesti più importanti dello sport globale: sia direttamente, grazie all’assegnazione di posizioni apicali nelle federazioni sportive a figure legate al governo di Riyad o della famiglia regnante, sia tramite sponsorizzazioni più o meno dichiarate. Oltre agli esempi già citati, l’Arabia Saudita è diventata tramite il PIF un attore centrale nel mondo del Golf, e tramite AramCo in quello della Formula Uno e – notizia delle ultime settimane – della FIFA. Questo impegno si può leggere assieme ai grandi sforzi di Riyad per i grandi eventi globali in generale, di cui quelli profusi per Expo e per i Mondiali di calcio del 2034 rappresentano l’esempio più evidente.
Tuttavia, per quanto sia importante analizzare l’impegno saudita in una chiave globale, ci sono dati che portano a ridimensionarne la dimensione esterna: gli investimenti del PIF all’estero sono meno della metà del totale delle sue attività, ancora oggi concentrate in gran parte sullo sviluppo interno del paese, e gran parte delle iniziative di “consolidamento” del potere in realtà sono attive da numerosi decenni. Lo status globale resta un obiettivo, così come il superamento del paradigma di paese esportatore di petrolio, ma le ragioni che muovono un attivismo tanto sorprendente sono molto più stratificate di quanto appaiano.
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