22 Ottobre 2024

La Tunisia a un bivio con il Fondo Monetario Internazionale

Se le proteste che hanno portato alla Primavera araba sono iniziate in Tunisia, la promessa di una società più democratica ed egualitaria nel Paese nordafricano non si è, però, realizzata. La Tunisia è stato l’unico Paese a emergere dalle rivolte regionali con una nuova democrazia. L’esperienza, tuttavia, è naufragata dopo che Kais Saied – eletto alla presidenza nel 2019 – ha preso il monopolio del potere nel luglio 2021.

È così riemersa la paura della repressione. Dalla metà di febbraio 2023, gli arresti e le condanne di personaggi pubblici, soprattutto politici, si sono accelerati, minando un’opposizione disorganizzata e divisa. Nel frattempo, ampie fasce della popolazione si sono concentrate sui bisogni più immediati di fronte all’aggravarsi della crisi economica e si sono sempre più allontanate dalla politica.

Il Presidente Saied ha tentato di mantenere il suo sostegno, in calo, spingendo su politiche nazionaliste. Ha incarcerato i membri dell’opposizione in un’azione che sembra volta a rafforzare la sua posizione nei confronti di fasce di popolazione frustrate dalla precedente classe politica. Saied ha anche mosso accuse di stampo xenofobo ai migranti subsahariani, accusandoli di cospirare per cambiare l’identità della Tunisia e alimentando, di conseguenza, un’impennata di attacchi violenti contro questa minoranza vulnerabile.

Un quadro economico preoccupante

Dal punto di vista economico, il Paese sta ancora scontando un decennio di crescita lenta. Dopo la rivolta del 2011, il governo tunisino ha in parte combattuto l’aumento della disoccupazione assumendo centinaia di migliaia di dipendenti pubblici. Oggi, il settore pubblico è quindi il principale datore di lavoro del Paese, e metà del bilancio annuale viene speso per gli stipendi pubblici. Allo stesso tempo, gli investimenti pubblici e privati in infrastrutture e ricerca sono diminuiti in modo significativo, determinando un forte calo della crescita del PIL.

Anche i fattori esterni hanno intaccato l’economia tunisina: la pandemia di Covid-19 ha portato a un crollo del turismo, mentre l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha portato a un’impennata dei prezzi delle materie prime. L’aumento dell’inflazione – in particolare dei prezzi dei generi alimentari – e la carenza di beni di prima necessità hanno eroso il tenore di vita dei tunisini.

In questo contesto, il debito pubblico tunisino è salito alle stelle, raggiungendo quasi il 90% del PIL nel 2022, in un quadro che vede la necessità di contributi finanziari significativi per mantenere gli attuali livelli di spesa. Le agenzie di rating hanno declassato il Paese, che sta lottando per il pareggio di bilancio. L’ultimo declassamento è avvenuto a giugno, quando Fitch ha abbassato il rating della Tunisia a CCC-. Di conseguenza, l’accesso ai mercati finanziari internazionali è stato praticamente precluso, visti i tassi di interesse proibitivi (oltre il 20%) che questo rating sovrano comporterebbe.

Sebbene il deficit delle partite correnti si sia ridotto e la liquidità in valuta estera sia migliorata negli ultimi mesi grazie all’aumento delle entrate turistiche e delle rimesse dei tunisini che lavorano all’estero, il ripianamento del debito estero continuerà a essere estremamente impegnativo. Con 2,6 miliardi di dollari americani di rimborsi previsti per il 2024 (tra cui un’obbligazione in euro in scadenza a febbraio, equivalente a 900 milioni di dollari), non è ancora chiaro come il governo sarà in grado di ottenere fondi sufficienti per far fronte a queste passività. Il progetto di bilancio per il 2024 prevede prestiti dall’Algeria e dall’Arabia Saudita, oltre ad altre fonti esterne ancora sconosciute.

L’accordo con il FMI e il ruolo dell’UE

Nonostante queste difficoltà nel finanziamento, la Tunisia non ha ancora firmato un accordo con il FMI. Nell’ottobre 2022, la Tunisia e il FMI hanno concordato i termini di un prestito del valore di 1,9 miliardi di dollari americani, volto a stabilizzare l’economia. Tuttavia, Saied ha rifiutato l’accordo, temendo disordini sociali dovuti al taglio dei sussidi e alla riduzione dei salari del settore pubblico.

Gli europei – in particolare l’Italia – hanno fatto pressione sul FMI per riaprire i negoziati e hanno offerto incentivi per convincere Saied ad accettare un accordo rivisto, nonostante le loro divisioni interne su come trattare la Tunisia. Queste pressioni sono dovute soprattutto al fatto che le ricadute economiche di un default del debito potrebbero aumentare ulteriormente il numero di persone – sia cittadini tunisini che migranti provenienti dall’Africa subsahariana – che lasciano la Tunisia per l’Europa. Mentre alcuni Stati membri dell’UE, come la Germania, hanno assunto una posizione più critica nei confronti della svolta autoritaria di Kais Saied, nel finale gli interessi migratori, di sicurezza ed economici dell’Italia e, in parte, della Francia sembrano aver prevalso all’interno dell’UE.

L’UE ha offerto incentivi alla Tunisia per accettare un accordo con il FMI. Dopo la visita a Tunisi di Giorgia Meloni e successivamente della Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e del Primo Ministro olandese Mark Rutte, a giugno l’UE ha offerto 900 milioni di euro di assistenza macrofinanziaria a condizione di un accordo con l’FMI e 105 milioni di euro per la cooperazione congiunta sulla gestione delle frontiere e sulle misure anti-contrabbando per ridurre l’immigrazione irregolare in Europa.

Nonostante il supporto offerto dall’UE, la probabilità di una revisione dell’accordo tra Tunisia e FMI è diminuita. Ad agosto, Saied ha rimosso il capo del governo, Najla Bouden, che era stata direttamente coinvolta nei negoziati con il FMI, e l’ha sostituita con un funzionario più accomodante, Ahmed Hanachi. Da allora, la Tunisia non ha presentato nessuna proposta d’accordo rivista al FMI. A ottobre, il presidente ha rafforzato la sua posizione licenziando il ministro dell’Economia Samir Saied, dopo che quest’ultimo aveva affermato che un accordo con il FMI avrebbe inviato un messaggio rassicurante ai creditori esteri della Tunisia.

La Tunisia ha anche rifiutato parte dei fondi offerti dall’UE. Il 3 ottobre, Saied ha rifiutato la prima tranche di aiuti finanziari dell’UE, dichiarando che questo importo era contrario all’accordo tra le due parti e che si trattava solo di “carità”. Non sono chiare le ripercussioni di questo rifiuto sul resto degli incentivi finanziari dell’UE.

Davanti a un bivio

Ci sono ovvie ragioni per cui la Tunisia dovrebbe ottenere un prestito dal FMI. L’accettazione di un accordo invierebbe un segnale rassicurante ai partner e ai creditori stranieri della Tunisia. Potrebbe incoraggiare gli Stati arabi del Golfo a fornire ulteriore sostegno finanziario sotto forma di prestiti governativi, depositi presso la banca centrale e investimenti nell’economia. Questo darebbe respiro al governo tunisino. Ma l’attuazione delle riforme richieste dai termini del prestito potrebbe scatenare proteste antigovernative da parte del principale sindacato del Paese (l’UGTT) e, di conseguenza, una repressione guidata dal governo. Per evitare questo scenario, il presidente stesso potrebbe istigare le proteste e le rivolte usando la retorica nazionalista per addossare al FMI la responsabilità di qualsiasi misura impopolare richiesta dal prestito.

Uno scenario di mancato accordo, tuttavia, avrebbe conseguenze molto più gravi e potenzialmente catastrofiche. Senza un prestito, la Tunisia faticherebbe a trovare fonti di finanziamento alternative per far fronte ai rimborsi del debito estero previsti. Saied potrebbe quindi ricorrere a un default strategico politicamente motivato, seguito da negoziati per la ristrutturazione del debito estero del Paese. Alcuni economisti tunisini e sostenitori del presidente sostengono questo approccio: affermano che dichiarare bancarotta sul debito estero consentirebbe al governo di elaborare un piano di ristrutturazione con i creditori e sostengono che l’impatto sull’economia sarebbe abbastanza limitato, grazie ai controlli sui capitali della Tunisia e alla bassa esposizione del settore bancario alle obbligazioni estere. Ma questo approccio comporta un grande rischio, poiché un fallimento legato al debito estero potrebbe portare a una corsa alle banche tunisine e destabilizzare il settore finanziario.

Dal punto di vista politico, un default e le sue ripercussioni socioeconomiche potrebbero aprire la porta a una pericolosa spirale di violenza sociale e criminale. Potrebbe anche incrementarsi la migrazione irregolare verso l’estero, con i tunisini in fuga dal crescente caos politico ed economico. Potrebbero scoppiare proteste diffuse contro i disastrosi effetti sociali della fallimentare politica economica del presidente, provocando una risposta violenta contro imprenditori e oppositori politici per i loro presunti legami con l’Occidente, nonché contro i diplomatici occidentali e la comunità ebraica locale.

Bilanciare supporto economico e rispetto dei diritti

Alla luce di questi due possibili scenari, l’Unione Europea e l’Italia dovrebbero continuare a incoraggiare le autorità tunisine a negoziare con il FMI, che rimane la via meno destabilizzante dal punto di vista politico ed economico per la Tunisia, se percorsa con la dovuta attenzione. Come minimo, un accordo rivisto dovrebbe includere tagli alla spesa ridotti rispetto alla proposta precedente, in particolare con riguardo ai sussidi energetici.

Allo stesso tempo, l’Italia e l’UE dovrebbero essere cauti ed evitare di trasformare le loro comprensibili preoccupazioni sulla stabilità della Tunisia in un assegno in bianco per il presidente. In particolare, dovrebbero fare pressioni sulle autorità affinché mettano fine agli abusi perpetrati contro i migranti e impediscano potenziali attacchi contro i politici dell’opposizione, gli uomini d’affari e la comunità ebraica locale. Al di là delle considerazioni umanitarie, ciò servirebbe all’obiettivo generale dell’Italia di contenere l’immigrazione: dopo tutto, gli attacchi contro la minoranza subsahariana hanno stimolato l’emigrazione, una tendenza che si accelererebbe se la persecuzione governativa diventasse ancora più severa.

Pur sostenendo l’accordo, tuttavia, l’UE e l’Italia dovrebbero anche prepararsi alla possibilità che la Tunisia continui a rifiutarlo e dichiari un default sul debito estero. In questo scenario, l’Unione dovrebbe essere pronta a offrire finanziamenti di emergenza al Paese per facilitare le importazioni di grano, medicinali e carburante. Nel fare ciò, l’UE dovrebbe armonizzare le posizioni degli Stati membri per evitare agende conflittuali. Sono già emerse divisioni tra Paesi come Germania e Italia su come affrontare la deriva autoritaria della Tunisia. Per questo motivo, il riconoscimento dell’importanza della stabilità interna potrebbe fornire un terreno comune per superare le divisioni e aiutare a prevenire una nuova ondata di violenza contro i migranti.

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